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Eremo di S. Viano

Non so se S. Viviano o Viano sia un vero santo con tanto d'investitura ma a Vagli lo venerano come tale ed il parco delle Apuane lo ha eletto a protettore, anche quello non so se sia un vero parco a giudicare dalle distruzioni compiute dalle cave e quindi la scelta mi pare azzeccata.

Ho visitato il suo eremo diversi anni fa, nel 94, lo ricordo bene perché in quel periodo fu prosciugato il bacino di Vagli, avevo portato degli amici a vedere il paese sommerso ma c'era una gran calca. Quando l'Enel svuota il bacino per la manutenzione affiora dal fango il paese di Fabbriche di Careggine situato sulle rive dell'Edron e sommerso a causa della diga. L'avvenimento, fino ad allora noto solo a pochi frequentatori dei luoghi, era stato sfruttato a fini turistici.

Com'è d'obbligo per l'industria del tempo libero giornali e televisioni avevano parlato della cosa suscitando forte curiosità e da ogni parte arrivava gente a frotte. Il comune di Vagli aveva prontamente approfittato della situazione ed uno spazio all'interno del bacino era stato adibito a parcheggio a pagamento. Ogni mattina due incaricati allestivano un banchino facendo pagare un biglietto per l'accesso alla pista che portava al paese sommerso. Era stato organizzato anche un servizio di navetta ed ai turisti che improvvisamente si trovavano alle prese con quella mota venivano vendute a caro prezzo soprascarpe in plastica usa e getta. Ovunque erano spuntati trattorie e ristoranti e punti di ristoro che vendevano bibite e panini, per il paese fu certo un bel business.

Io avevo già visitato il borgo sommerso, ero arrivato una mattina che albeggiava ed avevo evitato tutta questa bolgia viaggiando indisturbato in quel paese fantasma tra le rovine deserte. Tra quelle case incrostate di mota e sabbia, dall'aspetto serico ed incredibilmente ben conservate aleggiava una strana atmosfera, quasi da day after, come fosse scoppiata una di quelle bombe “pulite”:-( che uccidono le persone risparmiando gli edifici.

Avventurarsi per i vicoli, per le corti e per la strada maestra con l'Edron che incredibilmente ha conservato il suo corso e s'infila ruscellando senza esitazione alcuna nella luce del vecchio ponte si ha la sensazione di una rinascita, che il tempo sia stato fermo a lungo ed improvvisamente abbia ripreso a scorrere come dopo un lungo letargo. Non intendevo rovinare quel bel ricordo con quel mercato così ci limitammo a guardare il paese dall'alto della diga per poi proseguire per Campocatino.

Campocatino è un alpeggio suggestivo, per raggiungerlo una strada polverosa attraversa un bosco di castagni secolari ed improvvisamente ci si trova nel gruppo dei caselli. Costruito a secco il villaggio di pastori dà l'impressione di fare un balzo all'indietro nel tempo, di un secolo almeno, poi la vista si apre su di una radura circolare, prativa, che si stende ai piedi della Roccandagia e dei suoi ghiaioni come un terrazzo sospeso, immediatamente s'intuisce il significato del toponimo.

Sul prato, in posizione decentrata, è stata costruita una cappella di rara bruttezza e dedicata al santo, in cemento vetro e metallo non lega affatto né con l'ambiente né con le altre costruzioni, per fortuna mani pietose hanno piantato intorno qualche alberello così ci è risparmiata la sua vista. Una mulattiera lambisce la radura e si dirige alta verso Arnetola, si affaccia su uno stretto canale ed una breve deviazione scende all'eremo.

Il ricovero di S. Viano è una spelonca in una ripida parete rocciosa murata su di un lato, vi si accede per una stretta scala ricavata nella roccia. La piccola grotta è trasformata in cappella già ricostruita una volta che fu distrutta per un incendio, qui in solitudine viveva il santo.

Una graziosa ragazza bionda volontaria della proloco teneva aperto per i visitatori che in quel periodo si speravano numerosi e fu lei a raccontarmi la sua storia.

Si trattava di uno straniero capitato in quei luoghi per sfuggire a chissà quali minacce e viveva prestando la sua opera per gli agricoltori del posto. Era un uomo buono e mite tiranneggiato anche dalla moglie. Di lui si racconta come, quando seminava, facesse parte del seme con gli uccelli che numerosi lo attorniavano, nonostante ciò i suoi raccolti erano più che abbondanti.

Stufo delle angherie della moglie e dei vicini si ritirò nella grotta cibandosi dei cavoli selvatici che, miracolosamente, presero a crescere nei dintorni. Pare anche che, imponendo le sue mani nella roccia, facesse sgorgare una sorgente come nella tradizione di santi ben più celebrati. Si racconta anche come un paio di discoli, dall'alto della rupe, lo prendessero a sassate, ma anziché colpirlo i sassi tornarono indietro trasformati in pane.

Non è  un santo dalle grandi gesta, in effetti la sua santità sembra poca cosa, ma porta con se il messaggio banale ma oggi quasi rivoluzionario frutto di una saggezza popolare ormai scomparsa che ci fa immaginare come al mondo ci siano risorse per tutti, anche se divise con chi è meno fortunato.

 

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