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Campo all’orzo

M'eran tanto piaciuti questi luoghi che così presto son tornato. Son di nuovo partito dalla Foce: subito dopo la maestà, sulla strada, c'è un piccolo spiazzo da cui parte una traccia, all'inizio un po' infrascata tra erba e pruni ma presto si libera e segue il crinale. Superate un paio di quote giunge ad una sella da cui ripartono altre tracce di cacciatori o d'animali. La più alta aggira da sud la prima quota del Piglione.

Il crinale si distende in direzione nord verso la cima che raggiungo velocemente.

Guardando indietro si vede la piana di Pisa invasa da una leggera nebbiolina, una caligine da cui spuntano grigie azzurre le propaggini dei primi colli, qua e là s'innalzano fil di fumo come segnali indiani.

Dalla cima me ne vado subito perché non era questa la meta, ritorno alla quota 1190 e per sentiero scendo fino a dei ruderi. Eran queste case vere non caselli o metati, al piano terra stalle e rimesse e sopra altri due piani. Le stanze erano intonacate ed imbiancate a colori tenui, decorate con dei disegni fatti a rullo. Seguendo vecchi percorsi raggiungo le verdi terrazze di Campo all'orzo disseminate di piccoli pagliai ben fatti.

Fare un pagliaio non è cosa semplice anche a saper la procedura, il nonno lo faceva fare per mietitura, di paglia perché di foraggio ne aveva poco.

Quando batteva il grano veniva uno specialista, allora ognuno lavorava per proprio conto ma nei lavori grossi ci si aiutava, preparava una base di pietre o di legni perché non salisse umidità dal terreno e ne faceva subito il perimetro attorno ad un palo. Andava su dritto per un po', diversi uomini l'aiutavano sia a portar la paglia che a pressare quella che disponeva. Arrivato ad una certa altezza si allargava un poco che la parete divenisse concava, strapiombante in gergo montanaro, e quando la paglia stava per finire faceva la cupola, esposta all'intemperie la parte superficiale si scuriva e formava come una crosta, l'acqua ci scorreva sopra ed al bordo della cupola cadeva. La paglia od il fieno così pressati si mantenevan bene anche per un paio di stagioni, i contadini avevano una falce apposita per tagliare i pagliai, li ritosolavano lasciando intatta la cupola, in ultimo sembravano torsoli di mela.

A me tutto questo pare un'opera d'ingegno, un esempio di quel sapere contadino sacrificato al mito della modernità, un sapere che qui qualcuno ancora coltiva.

Dopo una sorgente un sentiero bordato di bosso ed agrifogli tocca alcune casette e poi il crinale dove sta la vecchia chiesa sotto il Prana.

Qui a cavallo tra Versilia e Garfagnana abitava una comunità che con rispetto ha segnato  questi luoghi: i pendii son terrazzati, il bosco coltivato e per strade ci sono i sentieri; si stava qui e di questo aspro territorio se ne coglievano i frutti: foraggio, qualche castagna ed orti.

Le case, la chiesa, le maestà non sono mai invadenti, piccole e raccolte quasi a nascondersi alla vista ed alle intemperie sono riparate da grossi alberi: noci, ciliegi ed abbellite da bosso ed agrifogli. S'integrano bene con la natura, sono angoli piacevoli ed accoglienti che invitano alla visita ed al riposo.

Son posti dove regna l'armonia, dove della natura si è sconfitto solo spine e sterpi e dove vivon bene uomini ed animali. Altrove, sempre in Apuane, anziché i frutti s'è preferito cogliere il territorio, fatto saltare con le mine e venduto a pezzettini come se potesse ricrescere.

In un bosco di robinie son sceso giù a Ritrogoli, tre o quattro vecchie case in un solco stretto dove il sole si deve veder ben poco, una ancora abitata e le altre in vendita, poi a Rianchiani e di nuovo alla Foce.

La sera a casa, con Anna, scambio le prime parole della giornata..

 

La Foce – M. Piglione Sud (0,50) – M.Piglione Nord (0,40) Campo all'Orzo (1,35) Ritrogoli ((0,30) Rianchiani (0,30) La Foce (0,30)

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