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Blitz

Viareggio

Da piccolo sognavo una vita parallela, una vita alternativa da affiancare a quella reale e scegliere a seconda dei momenti per sfuggire alle costrizioni dei grandi ed all'autorità che già allora m'infastidiva. Complici certe letture sognavo di costruire una capanna su di un albero per farne il mio regno ma nel giardino non c'erano alberi adatti e non me l'avrebbero permesso, fu così che ripiegai su di un tepee.

 Mi procurai delle canne sul torrente, mio padre mi aiutò: aveva un passato contadino e sapeva bene destreggiarsi con quel materiale. Mia madre mi regalò una vecchia coperta e ne uscì un buon lavoro che resistette bene per tutta l'estate fino alle piogge d'autunno. Con i miei compagni tenevo consigli indiani fumando tralci di vite come fossero calumet.

Adesso non è più tempo di giochi ed ho rinunciato alla mia seconda esistenza anche se al sabato in montagna, o comunque in luoghi solitari, cerco per qualche ora di affrancarmi dal tran tran di tutti i giorni.

Questo sabato però il tempo non ha certo brillato per consentirmi di queste avventure ed anche alla domenica non invitava così con Anna siamo andati a Viareggio. Libeccio, mare mosso e spiaggia quasi deserta l'ideale per me, è così che amo il mare.

Sono partito dal Lido, di fronte al Caprice, un locale dove adesso tengono spettacoli erotici; lo frequentavo nei miei anni ruggenti, allora era un famoso locale per giovani, si chiamava Piper e niente era più sexy della sua giovanissima stella: la biondissima e mitica Nicoletta in arte Patty.

Sulla spiaggia vento forte, mare mosso ma non troppo ed aerosol tanto da appannarmi le lenti, fuori dalla battigia, dov'era più asciutta, la sabbia faceva mulinelli e s'infilava ovunque. Anna sopporta queste condizioni solo perché sa che mi piacciono ma lei, al contrario di me, sta bene dove c'è gente, strano a dirsi la folla la rassicura, quanto possono essere diverse due persone che si amano!

E' così che all'altezza di piazza Mazzini siamo andati in passeggiata; come ogni domenica pomeriggio era affollatissima di gente di ogni tipo: chi  in tenuta sportiva  come noi usciva dalla spiaggia ed altri che sfoggiavano le più ricercate toilette, giovani ragazze provocanti e vecchie megere rabberciate alla cui vista ho pensato che per chi ci tiene ad esser bello dev'essere un momento assai duro quando gli anni ti presentano il conto.

Siamo stati un po' sul molo tra odore di pesce fritto e profumo di croccante ad osservare le acrobazie dei gabbiani e di qualche temerario che faceva un simil-surf, tanti vu cumprà, africani per lo più, che vendevano cd, borse, occhiali, binocoli allineati sulle coperte.

Ad un certo punto un fuggi fuggi generale, tutti raccolgono la mercanzia e scappano, qualcuno prende per la spiaggia ed altri mi vengono incontro sul molo:

- Ragazzi miei se venite da questa parte dove scappate, in mare? -

Nel frattempo arrivano i vigili  di corsa ed anche con le moto, spintonano i venditori, agguantano le borse.

I cinesi dimostrano un indole più incline al commercio, la loro mercanzia occupa poco spazio, giusto una borsina; uno di loro la nasconde tra gli scogli e gli sembra una grande idea a giudicare da quant'è soddisfatto mentre cerca di mimetizzarsi tra la folla ma non serve a niente, i vigili vanno a colpo sicuro come se qualcuno dasse loro precise indicazioni. In men che non si dica hanno fatto un mucchio di borse e fagotti ignorando gli africani che poco lontano hanno fatto capannello. Se ne stanno silenziosi, nessuno si azzarda a protestare, nessun cenno di ribellione, nei loro occhi secoli di rassegnazione.

Arriva una camionetta che ha rastrellato la spiaggia, le guardie la riempiono del bottino e si allontanano, Vicino a me una ragazza dice al suo compagno:

- Ora vanno in comune e se la dividono –

Poco lontano, in passeggiata, i marocchini vendono caldarroste, sono tranquilli, avranno i l permesso, avranno di sicuro anche il libretto sanitario, oppure perdere qualche castagna non li preoccupa troppo.

Io prendo di nuovo per la spiaggia quasi deserta per godermi il vento e la spuma delle onde e m'imbatto in una bottiglietta, un rifiuto che tenace trattiene l'ultimo raggio di sole. Brilla talmente questo rifiuto quasi avesse un'anima. Mi sembra con la sua luce supplicare la risacca per quel che a noi pare sacrosanto, un diritto elementare: che la porti via lontano, magari da dov'è venuta o comunque in un altro luogo dove ci sia da viver tranquilli e ripenso al mio tepee, a quando per sentirmi libero stavo a fantasticare un'altra esistenza.

 

 

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