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Pane & Olio

Amarcord

18/09/2005

Tutto è cominciato quando in un cassetto ho trovato una vecchia foto del primo giorno di scuola, una piccola scuola di campagna con due o tre classi tutte insieme, ero l'unico a far la prima ed anche l'unico senza il grembio.

La frequentai per un paio d'anni prima che mia madre, preoccupata per la mia istruzione, m'iscrivesse in una grande scuola in città. Ancora non lo sapevo ma era l'addio a dei giorni felici, ad un mondo che scompariva.

A riveder la foto ho faticato un poco a ricordare i nomi di qualche compagno ma neanche un attimo a riviver quei tempi, come in un flash. La vita allora era diversa da adesso, non dico meglio nè peggio ma diversa.

Quand'ero piccino, ma piccino davvero, in casa non c'erano tutte ste robe moderne, la tivvù s'andava a vedere nei locali e la merenda si faceva con pane e olio, a volte ci mandavano a bottega e si comprava una fetta di cioccolata morbida, ce la tagliavano da un salamone variegato, cacao e nocciola, e quello era il massimo della ghiottoneria.

La strada allora era deserta, d'automobili ce n'eran poche, uno zio aveva un'Ardea comprata di seconda mano, s'era battezzata la cinquantona. Un giorno che s'era andati a fare un picnic in collina, in un posto passato alla storia come “lo steccaccio” per uno sdrucio che uno di noi ragazzi s'era fatto con uno stecco, si mise a bollire e il tappo del radiatore saltò per aria con un gran fumaccio, fu una giornata memorabile, le madonne volavano che era una bellezza mentre le donne ci tappavano l'orecchi.

E sulla strada deserta viveva la borgata, le donne, i pomeriggi d'estate, piazzavano una seggiola e sedute intrecciavano cappelli o facevano il ricamo ed ogni tanto passava un venditore: personaggi che in quel modo sbarcavano il lunario e che scandivano il passar dei giorni o delle ore, per noi ragazzi facevano quasi da orologio.

Cominciava la mattina la Giuliovaia, una vecchina vizza vizza con una gran giogagia e  baffuta come tutte le vecchie d’allora, portava un panierino d’ova ancora tiepide del culo di gallina; il pomeriggio invece passava il gelataio con un carrozzino montato su di un ape, o forse era ancora a pedali non mi ricordo bene, aveva un berretto da ufficiale di marina e una trombetta con un suono tipo corno che ai nostri orecchi allenati non sfuggiva mai.

La scelta era di tre gusti, non di più, crema, cioccolato ed una specie di malaga con i canditi che a me non son mai piaciuti. Mia sorella che è più grande di me, ed anche un po' birbona, mi prendeva sempre quest'ultimo così quando affiorava il pezzettino candito mangiava anche il mio di gelati.

C'erano anche altri personaggi che a noi interessavano meno ma c'incuriosivano: un signore occhialuto passava sempre serio e compunto con una bicicletta alla quale, in modo artigianale, aveva fatto una specie di carenatura, un parabrise improvvisato in plastica e compensato, sempre serio non ci rivolse mai un sorriso né una parola, si dice accomodasse gl'aradi.

E poi l'arrotino che con la bicicletta sul cavalletto faceva girar la mola e si presentava urlando a squarciagola: - Arrrrotino donne, c'è l'arrrotino ... -

La voce era il requisito essenziale per questi venditori, ricordo un giorno che passava l'ombrellaio, riparava quelli vecchi e ne vendeva di nuovi, s'incrociò con un ometto che vendeva l'aceto e che mi pareva tanto disgraziato perché l'aceto, poerino, non glielo comprava nessuno, lui si sgolava : - Aceto forte ... aceto forte – e dalla parte opposta l'ombrellaio : - Paracqua ... paracqua -

Mancò poco che se le dessero di santa ragione.

Ogni tanto passava anche il pentolaio ma non a cadenza fissa, riparava conche e catini di coccio. Forava i pezzi rotti con un trapanino a mano e li riuniva con fil di ferro sigillandoli con una malta di cemento. E' un lavoro che ho fatto anch'io con una conca dove la nonna faceva il bucato con la cenere e la liscivia, era in bricioli e piano piano la rimisi insieme. La tenevo davanti casa con dentro qualche vaso di gerani, una mattina m'alzai e me l'avevano rubata. A me che qualcuno m'abbia preso proprio la conca della nonna non m'è ancora andata giù.

Alla domenica mattina passava Baghego, il semellaio, un pezzo d'uomo, un marcantonio biondo con una ciocca più chiara sulla fronte, pareva uscito da un film di Fellini.

Portava sul davanti della bicicletta una cassettina di legno con qualche panino all'olio (semel) e due o tre briosce, tripoli e puppe di monaca più che altro e quelle prelibatezze eran la colazione della domenica.

Aveva una voce potente che pareva un tenorino e urlava : - Semellaio .... semellaio .... è arrivato il semellaio .... -

Accidenta a te e alla troia di to ma! -

Urlò da una finestra una mattina un omone che, per lavorare ai mercati, s'alzava sempre a buio e alla domenica gli sarebbe garbato dormire un po' di più.

Lo rividi da grande sul molo di Viareggio mentre faceva l’imbonitore per i barconi che portavano in giro i turisti. Gli rammentai l’episodio e dopo le feste per avermi riconosciuto mi disse: - Gli accidenti, gira gira, vanno addosso a chi li tira. - perché l’omone, nel frattempo, era morto e sepolto.

 

 

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